La vegetazione

Questa pagina è dedicata alla vegetazione dell' Alpe Deccia o meglio di tutto il territorio che attraversiamo prima di giungere in alpe. Cominceremo con una introduzione cui seguiranno con il tempo una serie di foto esemplificative. La parte iniziale è di carattere generale e serve appunto per descrivere la vegetazione della montagna ed è tratta da una magnifica pubblicazione di Ettore Saronide (naturalista e botanico fondatore del Gruppo Natura Bellunese) dal titolo “La vegetazione della povincia di Belluno nei vari piani altitudinali.( http://www.grupponaturabellunese.it/vegetazione-bellunese.html).

In seguito analizzeremo la vegetazione dal punto di vista delle associazioni vegetali


Per apprezzare i fiori e le piante delle montagne bisogna conoscere alcune informazioni di base che permettono di comprendere come l'ambiente vegetale è strutturato. Inoltre per parlare di fiori e piante è opportuno chiarire i termini di flora e vegetazione. Il primo deve essere inteso come un elenco delle diverse entità sistematiche vegetali presenti in un determinato ambiente, il secondo si riferisce al complesso delle piante che ricoprono, in comunità stabili ed omogenee, una regione o un suo determinato settore.

Quindi, quando si parla di flora, ci si deve limitare a distinguere, conoscere e presentare le varie specie che vivono su un determinato monte o su una particolare area; quando invece dello stesso habitat si vuole illustrare la vegetazione, ci si dovrà riferire a quelle che i botanici chiamano associazione e studiarne i limiti, la composizione, il dinamismo


Si potranno così distinguere i vari consorzi forestali quali le faggete, le peccete, i lariceti, quelli cespugliosi come i rodoreti, caratterizzati, com’è noto, dai rododendri, nonché quelli erbacei presenti nelle rigogliose praterie di fondovalle e nei diversi tipi di steppa o di tundra alpina che, come sarà sottolineato più avanti, si distinguono con termini legati alla specie o alle specie che maggiormente li caratterizzano come, ad esempio, il nardeto (dominante: Nardus stricta), il seslerio-sempervireto (dominante: Sesleria varia e Carex sempervirens), i festuceti (dominanti le specie del genere Festuca), i curvuleti (con dominanza di Carex curvula).

Come ogni altro organismo vivente, sia dal punto di vista sistematica, sia ecologica oppure geografico, anche l’insieme delle piante dell'Ossola deve essere considerato quale risultato di complesse, remote e lente trasformazioni fisicoclimatiche che hanno interessato i diversi sistemi montuosi ed i territori ad essi circostanti. Tra i fenomeni più importanti si annoverano l'orogenesi alpina e le glaciazioni.

Le Alpi si sono formate o, meglio, sono emerse verso l’inizio dell’Epoca Terziaria, quando tutta l’Europa era in gran parte occupata da una folta e rigogliosa vegetazione subtropicale, per lo più forestale. Man mano che i monti e le pareti rocciose si profilavano in tutta la loro maestosità e imponenza sotto la spinta di potenti forze, una parte delle piante delle pianure si adattò a vivere, grazie a fenomeni evolutivi, in territori il cui clima andava modificandosi in seguito al sollevamento orogenetico. Alcune famiglie come le Genzianacee, le Ranunculacee, le Crucifere, le Sassifragacee, le Cariofillacee, le Composite, le Ericacee, le Crassulacee, le Primulacee e le Campanulacee, più delle altre, donarono alla flora dei nostri monti il maggior numero di entità sistematiche. Successivamente, durante il Quaternario, le graduali modificazioni del clima, che interessarono soprattutto l’emisfero boreale, portarono ad un raffreddamento sempre più evidente e costante che culminò con i Periodi Glaciali. La conseguenza fu la ripetuta formazione di grandi calotte di ghiaccio che ricoprirono tutte le regioni dell’Eurasia artica e sub-artica, eliminando ogni soluzione di continuità. Le valli alpine furono riempite da enormi masse di ghiaccio che si prolungarono non solo verso Nord, ma anche a Sud, penetrarono nella stessa pianura padana. L’avanzare dei ghiacciai e il loro espandersi costrinse le piante delle regioni alpine, che con grande fatica si erano insediate nelle varie località, a ritirarsi.


Com’è noto i periodi glaciali furono quattro (di Günz, di Mindel, di Riss, di Würm), separati da lunghi periodi interglaciali, durante i quali la temperatura e il clima si fecero più miti permettendo così ad alcune piante, che durante le glaciazioni erano rimaste isolate sulle vette emergenti dai ghiacciai, di espandersi; ma solo al ritiro completo dei ghiacciai fu possibile alle piante di lasciare quelle isole di rifugio che gli studiosi chiamano “nunatakker” e di colonizzare, assieme ad altre nel frattempo arrivate dal continente, tutta l'Ossola. Durante queste “rioccupazioni” dei terreni perduti in seguito alle glaciazioni, molte specie si estinsero, altre videro ridursi drasticamente il loro areale di diffusione, altre invece, più resistenti, riuscirono a colonizzare anche le zone più alte. Alla fine si ebbe una distribuzione della flora molto eterogenea dovuta anche alla maggiore o minore facilità di adattamento delle piante stesse. Naturalmente la flora ossolana fu arricchita anche da migrazioni da altre regioni floristiche (mediterranea, subartica, balcanica, asiatica, steppica, ecc.) e condizionata dalla natura pedologica dei suoli.

Trovarono il loro habitat naturale anche piante dette “artico-alpine” come il Ranunculus glacialis, la Saxifraga paniculata, la Saxifraga aizoides e la Dryas octopetala, oppure specie “altaico-alpine”, presenti cioè, sia sulle nostre montagne, sia sui monti dell’Asia settentrionale come, ad esempio, la stella alpina (Leontopodium alpinum) che, con alcune specie “consorelle”, è presente fin sull’Himalaia e su altre catene di monti lontani. Nessun essere vivente, a parte l’uomo, può abituarsi facilmente a vegetare in un ambiente sensibilmente diverso da quello nel quale ha avuto origine e al quale è stato, durante lunghissimi periodi evolutivi, adattato dalla natura. Per questo occorrono lunghissimi periodi, nel corso dei quali la selezione naturale riesce ad acquisire nel corredo genetico della specie quelle mutazioni, che risultano favorevoli alla sopravvivenza alle nuove condizioni ambientali, scartando invece quelle che risultano dannose. Per questo molte piante alpine presentano una serie di caratteri che sono il frutto di questo continuo confronto con le condizioni ambientali, nel caso nostro soprattutto l’altitudine e i fenomeni fisico-climatici che ne derivano. Queste piante vengono dagli studiosi chiamate ipsofile (ossia delle alte quote). Possiamo così osservare forme vegetali dall’esuberante apparato fiorale, o del singolo fiore, come nella già citata Dryas octopetala e nel Geum reptans, oppure l’infiorescenza in cui sono raccolti i numerosi piccoli fiori delle sassifraghe, delle ombrellifere e di molte composite. Alla grandezza dell’apparato fiorale corrisponde, quasi sempre, un limitato sviluppo dell’apparato vegetativo, ossia del fusto e delle foglie. In alta montagna, generalmente, sono presenti piante piccole, basse, spesso prostrate, ma con grandi fiori o con vistose infiorescenze come, ad esempio l’Aster alpinus, il Sempervivum arachnoideum, la Primula minima e le varie genziane come la Gentiana clusii e la Gentiana kochiana. Si possono, però, osservare anche specie botaniche comuni alle pianure e alle vallate alpine, che presentano però delle evidenti trasformazioni mano mano che dal piano si sale verso le vette. Un esempio di questo mutamento ci è offerto dal comunissimo tarassaco o soffione (Taraxacum officinale) i cui peduncoli fiorali, alti anche una ventina di centimetri in pianura, si riducono a pochi centimetri in alta montagna. Molti fiori, in un ambiente così severo, hanno anche un profumo più intenso, e questo perché la pianta, concentrando nel fiore tutta la sua forza, richiama in questo modo gli insetti impollinatori; per gli stessi motivi, per essere più appariscenti, utilizzano anche colori più intensi o almeno più vistosi rispetto a quelli delle basse altitudini. Un altro esempio di adattamento “ipsofilo” ci è offerto dalle cosiddette piante “pulvinate”, il cui apparato vegetativo è strutturato in modo da formare dei cuscinetti, come avviene, ad esempio, nella Silene acaulis, nell’Androsace helvetica e in numerose sassifraghe come la Saxifraga squarrosa. I cuscinetti di queste piante sono, talvolta, molto densi ed estesi e durante la bella stagione si ricoprono di centinaia di piccole corolle che si offrono agli insetti pronubi in cerca di nettare. Esaminando l’apparato vegetativo delle piante ipsofile si nota che spesso esso è grigio, talvolta addirittura biancastro e lanoso per il mantello di peluria fitta che ricopre sia i fusticini, sia le foglie; e veramente di “mantello” possiamo parlare, poiché questo rivestimento ha il compito di proteggere le parti della pianta dal freddo intenso delle gelate notturne, di rallentare la traspirazione quando il calore del giorno è molto forte e di proteggere dalla luce solare che, alle alte quote, è ricca di radiazioni ultraviolette. L’insieme degli organi vegetativi delle piante d’alta quota ci riserva anche un’altra sorpresa. Alla notevole riduzione della parte epigea (fusti e foglie fuori terra) non corrisponde un’analoga riduzione della parte sotterranea o, meglio, dell’apparato radicale. Le pur minuscole piante che vivono sulle rupi e sulle morene, inseriscono fra le fenditure delle rocce o nel terriccio sassoso delle radici di sorprendente lunghezza, e questo non solo per attingere una maggior quantità acqua e sali nutritivi, ma anche per “ancorarsi” meglio al terreno, talvolta estremamente instabile, e resistere così sia all’impeto del vento, sia all’azione delle acque di scorrimento superficiale. Un particolare tipo di adattamento che si può osservare in alcune piante ipsofile riguarda le cosiddette specie xerofile, ossia quelle specie che vivono in ambienti asciutti come le rocce ed i detriti in genere. Si tratta di piante che amano disporsi in densi cuscinetti come l’Androsace helvetica e la Silene acaulis delle quali si è già parlato in precedenza, oppure che presentano un apparato radicale molto denso, intricato e ricco di radicelle. In entrambi i casi il risultato è una massa spugnosa capace di trattenere a lungo la poca acqua piovana. Un altro adattamento alla xerofilia è quello che ci è offerto dalle piante succulente, le cosiddette “piante grasse” le quali, come i Sedum e i Sempervivum, presentano foglie carnose, ricche di acqua che può essere utilizzata dalla pianta stessa in caso di necessità.


Da quanto abbiamo detto, è facile capire come, per la vegetazione in genere, ma per quella alpina in particolare, l’altitudine sia un fattore di importanza determinante, capace di imporre alla quasi totalità delle specie vegetali dei rigidi limiti di diffusione, sia verso l’alto, sia verso il basso. Si vengono così a costituire quelle che i botanici chiamano fasce vegetative; esse cingono da ogni lato il monte, il massiccio o la catena alpina e presentano una loro tipica vegetazione la quale, naturalmente, può essere costituita di volta in volta da brughiere, da praterie, da pascoli, da dirupi, da ambienti palustri e da boschi di diversa composizione. Questi ultimi, però, non possono mai superare una certa altitudine che i botanici chiamano “limite superiore della vegetazione arborea” oltre la quale gli alberi non sono più in grado di vegetare. È opportuno ricordare che i limiti “superiore” e “inferiore”, entro i quali è compresa ogni fascia o piano della vegetazione, variano di altitudine in relazione a numerosi altri fattori fisico-climatici che, in questa breve ricerca, non è il caso di sottolineare. È ovvio, comunque, che sistemi montuosi lontani uno dall’altro, non solo presentino variazioni notevoli nella composizione floristica della loro vegetazione, ma anche variazioni nei limiti altitudinali.


Per chiarire meglio quanto sopra, delineiamo ora, a solo titolo esemplificativo, i piani altitudinali dell'Ossola tralasciando naturalmente le zone ormai quasi completamente trasformate dall’uomo che non presentano più gli aspetti caratteristici del passato.


La vegetazione che interessa l'ossola è innanzitutto quella del Piano basale denominata anche vegetazione pedemontana; essa è costituita soprattutto da boschi di latifoglie eliofile, come le querce a foglia caduca, i castagni, i frassini, i carpini, gli ontani, i noccioli e con l’inserimento, a seconda dell’esposizione, anche di boschi di roverella e di pino silvestre e, naturalmente, anche di zone pratensi. Questo piano vegetazionale parte dalla pianura e si spinge fino a circa 800 m. di altitudine, il cosiddetto limite superiore dei boschi di querce e castagno.

Alla vegetazione del Piano basale segue quella che gli studiosi definiscono del Piano montano; essa è chiamata anche vegetazione orofila e può essere divisa in due parti: Piano montano inferiore e Piano montano superiore.

Il primo è detto anche delle latifoglie sciafile ed è caratterizzato da boschi di faggio con una limitata presenza di castagni, frassini, aceri querce e di abeti bianchi; il suo limite superiore che coincide con quello, più generale, delle latifoglie, è compreso tra gli 800 ed i 1800 metri di altitudine. Generalmente i boschi montani di latifoglie sciafile (di faggio in particolare) occupano le valli ed i versanti più freschi mentre, a parità di altitudine, le zone aride, secche e assolate sono preferite dal pino silvestre e dalla roverella.

Il secondo, ospita di preferenza boschi di aghifoglie o, meglio, di Conifere in particolare abeti rossi e larici, tra i quali, talvolta, sono presenti anche pini cembri, abeti bianchi e pini silvestri.


Infine l’ultimo Piano è il cosiddetto Piano alpino che ospita la vegetazione “ipsofila” e in cui si possono distinguere tre aspetti. La prima è la Zona degli arbusti alpini o degli arbusti contorti che comprende le boscaglie di pino montano e pino mugo, le lande di rododendri (rodoreti), di ontano verde (alneti) e di mirtillo (vaccinieti). È un tipo di vegetazione che si può incontrare anche nei lariceti e nelle abetaie dei limiti inferiori, anche a meno di 1000 metri di altitudine mentre, verso l’alto, può spingersi anche oltre i 2000 metri a seconda delle particolarità climatiche locali.

Un altro aspetto peculiare è la zona dei dei pascoli che occupa il limite superiore della vegetazione arborea ed arbustacea; essa nel suo limite superiore, può arrivare fin oltre i 2500 metri di altitudine, questo limite è anche chiamato limite superiore delle zolle erbose chiuse o continue. È una fascia, per lo più discontinua che può alternare lande a brughiera e superfici cespugliose a pascoli veri e propri, ricchi di fiori quali genziane, campanule, numerose cariofillacee, crucifere, primulacee, composite e orchidacee, oppure a praterie omogenee formate prevalentemente da graminacee e da ciperacee, quali i nardeti, i festuceti ed i cariceti, di cui si è già parlato. Queste zone, specialmente verso i limiti inferiori, sono spesso popolate da alte erbe (cardi spinosissimi, genziane, aconiti ecc.), che nel loro insieme prendono il nome di megaforbie.

C’è infine la Zona delle piante colonizzatrici o delle zolle pioniere; in altitudine, essa può estendersi fino al limite inferiore delle nevi perenni, che coincide, in pratica, con il limite superiore delle zolle pioniere. In questo habitat sono presenti anche le vallette nivali e i laghetti che ospitano una vegetazione effimera ricca di muschi e di licheni. È una zona che comprende una vegetazione caratteristica come i curvuleti (dominante la Carex curvula) e i saliceti nani in cui predomina, generalmente, un salice alto pochi centimetri, il Salix herbacea.

Nella parte superiore, nelle zone rupestri e dove il terreno rimane scoperto dalla neve anche per brevissimo tempo, è presente la caratteristica vegetazione a pulvini pionieri, a cuscinetti di muschi, a chiazze di licheni, tutte forme vegetali tipiche delle vette e dei dirupi alto-alpini, che riescono a sopravvivere nonostante l’altitudine e la bassa temperatura. Naturalmente la successione dei vari piani che abbiamo descritto, corrisponde a quanto si potrebbe osservare avendo la possibilità di salire lungo le pendici di una delle nostre montagne percorrendo una strada ideale. In realtà, durante le escursioni, si possono individuare chiaramente solo alcuni - i principali - dei piani citati, come ad esempio, il passaggio dai boschi misti di fondovalle ai castagneti, da questi, per gradi, alle faggete ombrose e di qui alle abetaie, ai lariceti e infine ai pascoli, alle tundre d’altitudine, alle rupi raramente coperte di vegetazione.


 

L 'ALPE DECCIA E I SUOI ALBERI

Come promesso questa primavera siamo andati alla ricerca degli alberi secolari di Deccia.

Con una formula "segreta" abbiamo stimato la loro età. Naturalmente appena potremo vi spegheremo come abbiamo fatto. Accontentatevi per adesso delle foto degli alberi di cui abbiamo stimato l'età .


larice_322_1JPGIl larice più vecchio: 322 anni; diametro 386 cm.

larice_322_2JPG

Un secondo notevole esemplare di larice: 311 anni; diametro 354 cm.larice_311JPG

abete_rosso_302_1JPGUn terzo albero, questa volta un abete rosso: 302 anni; diametro 336 cm.  Il Corpo Forestale dello Stato ha condotto un censimento sugli alberi monumentali d'Italia  e  il più vecchio abete rosso si trova a Bagni di Mezzo di San Pancrazio: è alto 45 m ed ha una età stimata di 641 anni abete_rosso_302_2JPG

I FIORI DELL'ALPE DECCIA

Il substrato dell'alpe è acido e quindi la flora sarà per lo più acidofila. Il rododendro così abbondante nell'alpe è una pianta acidofila.

I fiori che vedremo in sucessione rispettano la cronologia di comparsa nell'alpe. Oltre alla foto scattata all'alpe deccia sarà presente un collegamento al sito "Forum Acta Plantarum" o ad altri siti dove per molti fiori  sono presenti  interessanti  informazioni .


CROCUS VERNUS

E' il primo a comparire quando i prati sono senza un filo di erba. Quando il terreno è stato ricoperto da tanta neve forma veri e propri tappeti di fiori.



SOLDANELLA ALPINA

Fiore che compare precocemente nelle vallette nivali con terreno umido



TUSSILAGO FARFARA L.

E' un fiore che compare precocemente appena scompare la neve e viene utilizzato come indicatore fenologico. Con le temperature miti può già fiorire a febbraio.




PRIMULA IRSUTA All.

Anche questo fiore compare precocemente e nell'alpe lo potrete trovare nel suo caratteristico habitat cioè tra le fessure di rocce o massi.


ANEMONE DEI BOSCHI.

Non è un anemone ma una ranuncolacea. Forma aggregati floreali molto belli  con una distribuzione altitudinale molto ampia. A deccia arriva fino a 1600 metri




DAFNE MEZEREUM.

Piccolo arbusto dai fiori molto profumati e che compaiono prima delle foglie. E' pianta tossica.



ORCHIDEA SAMBUCINA

Deccia ne è particolarmente ricca



ANEMONE GIALLO( Pulsatilla alpina subsp. apiifolia )



AJUGA PYRAMIDALIS

Tipica pianta da terreno siliceo



RODODENDRO ROSSO

Pianta acidofila per eccellenza può essere considerato il fiore tipico di Deccia